I veri interpreti dell’arte di viaggiare | L'arte di viaggiare

Facendo gli opportuni distinguo, è possibile fare un parallelismo tra i camperisti e i gitani. Analizzando filosofie di vita e carattere di chi le pratica, tante sono le affinità

Recentemente mi è capitato di riascoltare una canzone degli anni sessanta intitolata “Les Gitanes”. Il testo idealizza molto questa gente e dona loro un sapore romantico forse un po’ eccessivo. Tuttavia, anche se a suo tempo lacamper rivista camper camperisti camperlife canzone mi era passata quasi inosservata, oggi mi ha invece indotto a una riflessione e mi sono chiesto se si può fare un raffronto tra i camperisti, quelli con la “C” maiuscola, che hanno fatto dell’abitar viaggiando la loro filosofia di vita, e i gitani, quelli veri, quelli che conservano ancora la loro cultura e i loro costumi. Fatti gli opportuni distinguo, credo fermamente di sì in quanto è abbastanza palese che tra noi camperisti e i gitani ci siano alcune affinità elettive. Tra le più evidenti, citerei l’irrequietezza e il desiderio di andare sempre avanti, di scoprire cose nuove. Se per alcuni questo significa precarietà, per altri invece è libertà nel senso più puro e più nobile della parola. È vero che la maggior parte di noi amanti del plein air ha comunque un focolare dove ritornare al termine dei viaggi e compie il proprio dovere di bravo cittadino, ma è anche vero che ci sono moltissime persone (e ne ho conosciute parecchie durante i miei vagabondaggi) che hanno tagliato i ponti con tutto ciò che li legava alla loro origine e vivono stabilmente in camper. Dopo anni di lavoro, di doveri familiari e di insoddisfazione, vi sono anche persone che hanno avuto un rigetto verso la cosiddetta vita organizzata e con coraggio hanno deciso di vivere alla giornata. Qualcuno li considera degli irresponsabili e può darsi che abbia pure ragione, ma alla fine, quando le responsabilità diventano sempre più pressanti, la vita diventa sempre più mediocre, i soldi diminuiscono a ritmo costante e la pressione del tran tran quotidiano diventa insopportabile, non è meglio salire sul nostro mezzo e lasciarci alle spalle un’esistenza che ci sta logorando? Qualche lettore forse si risentirà di essere accomunato ai gitani (ho usato questo termine perché la parola zingari, nella nostra lingua, ha un significato piuttosto dispregiativo e non da l’idea di una popolazione ben definita, con una propria lingua e cultura). Anch’io, sino a pochi anni fa, sarei inorridito al pensiero dell’accostamento, ma dopo due esperienze piacevoli ho modificato la mia opinione, forse falsata dalla realtà italiana. Sono capitato un paio di anni fa a Les Saintes Maries de la Mer, subito dopo il pellegrinaggio gitano in onore di Santa Sara, la loro patrona. Ebbene c’erano ancora molti gitani appartenenti a diversi clan che, tra le viuzze del paesino, dignitosamente vestiti nei loro abiti tradizionali, davano una dimostrazione della loro cultura, della loro musica e dei loro costumi. È stata un’esperienza molto piacevole e costruttiva che mi ha permesso di comprendere qualcosa di più sulla cultura di questa popolazione. Mi è capitato un’altra volta di trovarmi in un campeggio di Fontainebleau con alcuni “gitanos” spagnoli. Di giorno vendevano indumenti di pelle sulle piazze e sulle strade dei dintorni e di sera, terminato il lavoro, si riunivano per cantare le loro struggenti canzoni, accompagnate dalla chitarra, come solo loro sanno fare. Concludendo, se metto insieme le poche conoscenze su questa popolazione nomade, acquisite nel corso dei miei viaggi, penso veramente che siano i gitani a interpretare meglio di chiunque altro l’arte di viaggiare.

Buon viaggio a tutti!

Roberto Serassio